Il Realismo nella Finzione

Università a 40 anni lavorando a tempo pieno

Una sera come tante altre di un giorno imprecisato dell'inizio di Febbraio 2018, l'idea improvvisa di guardare i corsi di laurea di ambito informatico offerti dall'Università di Trento. Cosa ci può essere di strano? Nulla all'apparenza. Ma se a farlo è un ragazzo che ha da poco compiuto 39 anni, che ha un lavoro a tempo pieno da responsabile amministrativo e che da un po' di tempo si è avvicinato alla programmazione, beh, qualche domanda può sorgere nella nostra mente. Avevo terminato da poco tempo la riscrittura di uno script da PHP a Python che permette di elaborare i dati di bilancio della mia azienda. Partendo da un'esportazione dei dati presenti in contabilità e aggiungendo i valori previsionali ottengo dei conti economici riclassificati per settore. Questo è solo uno dei tanti piccoli lavori di programmazione che ho creato in questi anni da autodidatta, da alchimista del codice come amavo definirmi.

Quella sera scattò in me qualcosa, forse avevo capito che quelle cose non mi bastavano più, che quel modo poco scientifico di produrre codice era lacunoso. Analizzai a fondo ciò che l'Università di Trento offriva in campo informatico, gli insegnamenti proposti (la maggior parte dei quali non capivo neppure di cosa trattassero), e dopo alcuni giorni decisi di chiedere informazioni al Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell'Informazione in merito alla Corso di Laurea triennale in Informatica. Così iniziarono i preparativi per quello che sarebbe divenuto un viaggio che sto conducendo ancora oggi.

Il meraviglioso viaggio rischiava però di non iniziare neppure. Infatti, c'era un grosso ostacolo da affrontare e da superare per poter iscriversi. L'accesso infatti era ed è tuttora a numero programmato con superamento di una prova d'ammissione. E non si trattava di un test agevole, soprattutto per uno come me che si era diplomato in ragioneria vent'anni prima. Infatti sto parlando del TOLC-I, il Test OnLine proposto dal CISIA (Consorzio Interuniversitario Sistemi Integrati per l'Accesso) per l'ammissione ai Corsi di Laurea di tipo ingegneristico. L'informatica pura in realtà è una scienza che appartiene al settore matematico ma tant'è che da quell'anno questo è il test che hanno deciso di utilizzare.

Il TOLC-I

Il TOLC-I prevedeva 50 quesiti divisi in quattro sezioni da svolgere in sequenza ai quali rispondere in un'ora e cinquanta minuti:

  1. Matematica: 20 quesiti in 50 minuti
  2. Logica: 10 quesiti in 20 minuti
  3. Scienze: 10 quesiti in 20 minuti
  4. Comprensione verbale: 10 quesiti in 20 minuti

Questa parte determinava il punteggio utile ai fini della graduatoria. Ogni risposta esatta assegnava 1 punto, ogni risposta sbagliata toglieva 0,25 punti e ogni risposta non data era valutata zero punti. A seguire erano previsti 30 quesiti di prova della conoscenza della lingua Inglese ai quali rispondere in 15 minuti. Se si ottenevano almeno 17 punti si vedeva automaticamente riconosciuta l'attività in carriera.

Come ho detto sopra, il test era impegnativo ed ero consapevole che non avrei potuto affrontarlo a un livello adeguato. Sapevo che la sezione di scienze (chimica e fisica) era praticamente impossibile e che le sezioni di matematica e di logica erano assai ardue. L'unica su cui contavo di avere difficoltà minime era la parte di comprensione del testo. Decisi comunque di sostenere il test e mi iscrissi alla selezione di Luglio. Avevo poco più di quattro mesi per prepararmi mentre lavoravo a tempo pieno e nel periodo dell'anno più faticoso nel quale non avrei potuto neppure godere di ferie e di permessi. La mia strategia prevedeva di non rispondere ad alcuna domanda di scienze, partendo quindi da un massimale di 40 punti, e di massimizzare la preparazione su matematica e logica.

ore mi presentai nell'aula B106 del Polo Scientifico "Ferrari" attorniato da ragazzi quasi tutti con vent'anni meno di me. Ero il più anziano a partecipare al test. Non dimenticherò mai quella giornata. Quando ci penso sento le emozioni ancora vive, sia quando affrontai la prova sia quando ebbi l'esito finale. 21,50 punti sui 50 totali. Un punteggio deludente se preso come fine a se stesso. Avevo seguito la mia strategia e quanto ottenuto rispecchiava a pieno le mie conoscenze di quel momento. Non provo vergogna alcuna nel descrivere ciò perché comunque ho avuto il coraggio di mettermi alla prova. Il dettaglio dei punteggi ottenuti è disponibile qui. Come parziale soddisfazione però ottenni 27 punti su 30 in Inglese. Un'altra nota positiva fu l'aver riposto correttamente a nove domande su dieci nella sezione della comprensione del testo. Tale informazione potrebbe sembrare di poco interesse mentre in realtà ha un grande valore soprattutto per una mia idea futura di cui parlerò più avanti.

pubblicarono la graduatoria per l'ammissione al Corso di Laurea in Informatica e mi mangiai le mani. Venivano ammessi in 70 e io risultai il 76°. Sei posti e 1,25 punti mi escludevano dal potermi iscrivere all'Università. Non rimaneva altro che attendere , data entro la quale avrebbero pubblicato lo scorrimento della graduatoria. Furono giorni di ansia, ci tenevo molto ad iscrivermi. venne reso diponibile lo scorrimento e con gioia immensa fui ammesso. Si dice che la fortuna aiuti gli audaci. Può anche essere ma a me piace ricordare una strana coincidenza.

la Francia vinceva il campionato mondiale di calcio allo Stade de France di Saint-Denis e io mi diplomavo Ragioniere all'Istituto Tecnico Commerciale di Predazzo con 60/60. la Francia vinceva il campionato mondiale di calcio allo stadio Lužniki di Mosca e io sostenevo con successo il TOLC-I per l'ammissione all'Università di Trento.

Una vita da lavoratore studente

Intraprendere una carriera universitaria lavorando a tempo pieno non è sicuramente una scelta facile a prescindere dall'età anagrafica. Molti sono i fattori che possono condizionare il proseguio sereno di entrambe queste componenti della propria vita. Se a questo si aggiungono il fatto di avere una famiglia e una vita sociale più o meno intensa allora è chiaro che tutto diventa ancor più complesso.

Da questo punto di vista posso dire che, nella mia situazione, ci sono delle condizioni che hanno reso e rendono più agevole il mio percorso universitario. Non ho una vita sociale particolarmente attiva, sono celibe e non ho figli, i miei genitori sono ancora giovani e autosufficienti, e ho un lavoro che mi permette di avere una certa autonomia nella gestione del tempo almeno nel periodo autunno-inverno. Ciò mi ha permesso di seguire almeno un paio di corsi da 100 ore l'uno almeno nei primi due anni. Quest'anno, causa il SARS-COV-II, quasi tutte le lezioni sono state fornite da remoto con varie modalità e dando a disposizione le registrazioni dei video, cosa questa che da un certo punto di vista è stata sicuramente utile. Comunque, generalmente, i corsi devo gestirli completamente da autodidatta utilizzando il materiale messo a disposizione dai docenti e studiando dai libri di testo. Ovviamente in tutto questo c'è anche lo svantaggio di non poter partecipare attivamente alla vita universitaria, non avere un confronto costante con colleghi e docenti, poter godere di tutti quegli aspetti tipici di uno studente a tempo pieno. D'altra parte però il sistema universitario italiano offre parecchia libertà agli studenti (forse troppa) con esami sostenibili più e più volte in molte sessioni, con l'unico vero vincolo di ottenere almeno un quarto dei CFU (crediti formativi universitari) entro la durata ordinaria del Corso di Laurea.

Eppure, pur ponendo l'attenzione alle parti positive della mia situazione, c'è stato qualcosa sinora che non ha funzionato. Ho deciso di scrivere questo articolo proprio perché sento la necessità di raccogliere i miei pensieri, le mie riflessioni, le mie considerazioni su quanto è successo in questi due anni e mezzo. Per effettuare un'analisi che abbia un senso è necessario che io veda Gabriele dall'esterno al fine di individuare ciò che ha fatto sia di positivo che di negativo. Il tutto può essere riassunto in buona parte nel risultato dei pochi esami sostenuti, nel modo in cui sono stati svolti ma anche e soprattutto nel modo in cui sono stati preparati.

Ho scelto di studiare Informatica (percorso Scienze e tecnologie informatiche) perché è un tipo di competenza che ormai viene impiegata in tutti i settori lavorativi e di ricerca. La società moderna ormai è, nel bene e nel male, quasi tutta automatizzata. Ciò che mi spaventa di più è l'incapacità di avere il controllo delle nuove tecnologie che utilizziamo e di cui ne siamo diventati ormai schiavi più o meno coscienti. Ma è indubbio che l'informatica ha portato notevoli innovazioni in tutti i campi e ha permesso di effettuare delle scoperte altrimenti irraggiungibili a livello pratico. Tra l'altro è una disciplina che si trova a metà strada fra la scienza e l'ingegneria. Spesso passare dall'aspetto teorico a quello pratico è un una cosa che avviene in modo molto naturale. Ma nonostante ciò l'informatica è prima di tutto la scienza che studia l'informazione, la analizza, la rappresenta, la elabora, la manipola. Molti degli insegnamenti offerti dall'Università di Trento sono in gran parte teorici e in ultima analisi hanno l'obiettivo di formare persone con una grande abilità nel problem solving implementabile attraverso software e sistemi informatici. Per ottenere ciò serve una buona dimestichezza con la matematica ma soprattutto approcciarsi ai problemi utilizzando il metodo matematico e scientifico. Questo è stato sinora l'aspetto più complesso del mio percorso. Come detto all'inizio di questo articolo la mia formazione è tecnica, non scientifica, e ciò mi ha scoraggiato più volte facendomi pensare di non essere in grado di poter apprendere veramente tutto quello che c'è da studiare. Con il tempo però ho capito che ciò non è vero. Data la sua vastità, l'informatica è un settore dove ci sono molteplici possibilità di espressione in campi molto eterogenei. Un informatico moderno, secondo me, deve puntare alla multidisciplinarietà racchiudendo in sé competenze di matematica, logica, linguistica e psicologia fuse assieme allo scopo di risolvere i problemi che gli vengono proposti. Questa è la mia visione, ma non è assolutamente detto che debba essere l'unica. Esistono docenti che lavorano al DISI (Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell'Informazione) e al CIMeC (Centro Interdipartimentale Mente/Cervello) che hanno nel loro curriculum studi di natura classica (filosofia, linguistica), competenze che hanno poi fuso con studi di natura informatica più o meno teorica a seconda dei casi. La laurea triennale in informatica è una buona base che può garantire il proseguimento nei settori più disparati anche trasversali. Nel momento in cui scrivo, una volta ottenuta la laurea, il mio sogno sarebbe quello di iscrivermi alla Laurea Magistrale in Artificial Intelligence Systems (Sistemi di Intelligenza Artificiale) con curriculum in Neurocognitive Architectures (Architetture Neurocognitive), un tipo di studi che mi consentirebbe di formarmi come Specialista in Intelligenza Artificiale dotato di competenze in Ingegneria del Linguaggio Naturale. Chi è interessato a capire ciò di cui sto parlando può visitare il sito dedicato alla Laurea Magistrale dell'Università di Trento e cercare ulteriori informazioni sul sito di Universitaly.

Tutto questo per far capire il contesto e le motivazioni che mi hanno spinto a prendere questa strada. Partendo da queste considerazioni cercherò di giungere a delle valutazioni sul lavoro svolto sinora.

L'esame: fine o mezzo della preparazione?

Poco sopra ho dichiarato di voler analizzare la situazione utilizzando gli esami svolti come parametro. Una domanda mi sorge spontanea ed è racchiusa nel titolo di questo paragrafo. L'esame cosa rappresenta realmente? Giocando un po' con il significato delle parole, è il fine (scopo) o la fine (termine) della preparazione oppure è il mezzo (strumento) o il mezzo (del cammin) della preparazione? Detto in altri termini, il sostenimento dell'esame, che di solito cronologicamente è alla fine (a meno di provette intermedie o esoneri), deve essere visto come lo scopo ultimo del corso oppure deve essere considerato come lo strumento, e quindi attuabile anche nel bel mezzo del cammin, atto a valutare la preparazione? Magari è una domanda banale. Per me non lo è. Per me l'esame è uno strumento per valutare cosa, quanto e come ho appreso gli argomenti di un certo corso. E per fare questo non è necessario aspettare il giorno dell'esame vero e proprio. Il significato che gli attribuisco io è da ricercare nella verifica costante con me stesso, nella prova onesta che mi permetta di capire se ho capito realmente un argomento. Perché in fondo ciò che conta è apprendere ciò che si studia, possibilmente in modo profondo anche se, almeno nelle prime fasi, ciò non avviene necessariamente.

Questo è sempre stato il mio pensiero, anche quando frequentavo le scuole superiori. Questo è il principio che cerco di applicare anche sul lavoro dove vedo l'esame come la prova del lavorare sempre meglio ottenendo risultati di un certo valore nel risolvere i problemi. Non ho mai sopportato lo studio mnemonico, per esempio detestavo vedere i miei compagni di classe che si ostinavano a studiare la partita doppia a memoria senza capire il motivo per cui scrivevano certe operazioni in dare o in avere. Ad alcuni di loro ho cercato più volte di far capire che spesso per registrare un'operazione era necessario solamente analizzare la fattispecie aziendale in questione e applicare le semplici regole della partita doppia. Io studiavo poco a quei tempi ma ragionavo molto su quanto ci veniva insegnato. Questa è stata la mia fortuna perché mi aiuta sul lavoro e mi sta aiutando anche nel percorso universitario. Ma nonostante ciò i risultati che ho ottenuto sinora mi lasciano per alcuni versi amareggiato. Mi sento dire spesso che non posso pretendere troppo, che lavorare e studiare contemporaneamente non è facile, che ciò che sto facendo è già un grande risultato e altre cose simili. Opinioni sicuramente da tenere in considerazione dette da persone che mi stanno vicino e che apprezzo per gli stimoli che mi danno. Ma le cose stanno realmente così? Senza cadere nella solita negatività che mi contraddistingue sicuramente potevo fare di più. Il punto è capire come e quanto di più.

In due anni ho affrontato solo quattro esami per un totale di trenta CFU oltre a redigere una relazione atta a certificare le conoscenze e le abilità professionali al fine di conseguire i nove CFU del tirocinio o stage formativo. Ogni corso e ogni esame sono delle storie a sé. Io parto dal principio che ogni corso propone degli argomenti utili per la propria preparazione complessiva. Alcuni possono non piacere ma per dar loro un senso bisogna in qualche modo farseli piacere. Tutto sommato sinora i corsi mi sono piaciuti tutti a parte qualche argomento di cui non ho capito l'utilità.

Il primo punto sul quale mi sento di riflettere è lo stretto rapporto che intercorre tra la teoria e la pratica. Spesso si sente dire che è meglio saper fare una cosa nella pratica piuttosto che conoscerla nella teoria perché ciò che conta è il risultato tangibile e non il modo in cui lo si è costruito. Molte volte si fanno le cose perché ci è stato insegnato a farle in un certo modo senza però curarsi del perché si fanno in quella particolare maniera. E questo non ci consente di capire se quel procedimento è corretto oppure se possa essere migliorato o se addirittura possa avere delle falle. Semplicemente non possiamo saperlo perché è una procedura fine a se stessa priva degli aspetti teorici che non ci sono stati insegnati. Io non sono mai stato un'amante della pratica pura. Raramente riesco a fare le cose senza capire il perché si facciano in quel modo. Questo ovviamente ha i suoi aspetti negativi soprattutto in attività molto pratiche ma è ciò che mi ha permesso di riuscire ad approcciarmi allo studio e all'apprendimento autonomo. C'è però un problema. Spesso mi focalizzo molto sulla teoria perdendo di vista l'aspetto pratico nel quale la teoria va utilizzata. Mi riempio la testa di concetti teorici senza riuscire a capirli veramente e questo perché rimangono astratti. Se non vengono concretizzati con l'uso pratico non possono essere capiti veramente. I teorici della conoscenza sono sempre esistiti ma anche loro hanno dovuto avvalersi della materialità per comprendere ed elaborare più a fondo le loro teorie. Anche Richard Feynman utilizzava immagini di cose materiali per comprendere teoremi e formule. Ed era un fisico teorico, uno dei più importanti mai esistiti. Il mio percorso di studi è denso di contenuti teorici. L'informatica, come ho detto, è una scienza e la scienza si basa fortemente sulle teorie ma abbisogna anche della sperimentazione con la quale mettere in pratica queste teorie. Per quanto teorici i miei corsi hanno anche una grande componente pratica ed è naturale che sia così se ci si riflette un po'. Infatti, se è vero che l'attività principale di un informatico è il problem solving, è altrettanto vero che i problemi non vanno risolti solo formalizzandoli da un punto di vista teorico matematico ma anche rendendone concreta la risoluzione.

Analizzando gli esami che ho svolto sinora mi rendo conto che spesso questo è stato il mio punto debole. Non mi sono mai concentrato molto sugli esercizi ritenendo che la buona conoscenza della teoria fosse sufficiente per risolverli. In parte questo è vero, ma la teoria si può padroneggiare solamente utilizzandola negli esercizi pratici. Allo stesso modo però risolvere tanti esercizi perché se ne conosce la procedura senza conoscere la teoria non è un buon stratagemma. Infatti è sufficiente variare solo un po' gli esercizi e non si è più in grado di risolverli senza la giusta preprazione teorica. Se osservo bene, l'esame di Fondamenti matematici per l'informatica (), nel quale ho ottenuto un ottimo 29, era composto di esercizi che si fondavano su teoremi di risoluzione pratica piuttosto meccanica (il principio di induzione, il teorema cinese del resto, la crittografia RSA, il teorema dello score di un grafo) oltre a una domanda di teoria nella quale si doveva enunciare e dimostrare un teorema (scelto tra gli argomenti di aritmetica dei numeri interi, aritmetica modulare, teoria dei grafi). Perché è andato bene? Potrei dire perché mi sono esercitato molto a risolvere esercizi ma mentirei avendone svolti veramente pochi. La realtà forse sta nel fatto che avevo compreso i concetti abbastanza bene da riuscire a proceduralizzarli, cosa che tra l'altro era supportata da teoremi che formalizzano tali procedure. Due settimane dopo mi sono trovato a sostenere l'esame di Geometria e algebra lineare. Lo temevo molto perché sapevo di non essermi esercitato a sufficienza e anche perché lo avevo già affrontato senza successo e con una gestione pessima durante le sessioni invernali dopo aver superato la prova intermedia sulla prima parte del corso. Pensavo di non averlo superato, come la maggior parte, e invece alla fine ottenni un sofferente 22, un risultato frutto di una preparazione poco rivolta alla pratica. In quell'esame posso riscontrare come l'equililbrio tra teoria e pratica sia fondamentale. Non sono riuscito a risolvere tutti i problemi dei vettori geometrici perché non mi sono esercitato a sufficienza ma anche perché i concetti teorici non erano così solidi. D'altro canto però sono riuscito a risolvere un esercizio sui sistemi lineari accorgendomi grazie alla conoscenza della teoria di un errore compiuto in corso d'opera. Però non sono riuscito a produrre degli esempi nelle domande di teoria che mi avrebbero permesso di ottenere almeno un 25. Perché? Perché la conoscenza della teoria si limitava alle definizioni, non era tale da permettermi di produrre degli esempi che dimostrassero di aver compreso veramente il concetto. Ciò mi porta a riflettere anche sul modo in cui sto cercando di apprendere la teoria nei vari insegnamenti che molto probabilmente non è finalizzata a una reale comprensione degli argomenti. Problemi molto simili li ho avuti anche nell'esame di Calcolatori e di Programmazione 1 entrambi svolti online a causa della pandemia. Il test del primo () durava un'ora ed era composto da dodici quesiti a risposta multipla ai quali venivano assegnati 2,75 punti in caso di risposta corretta e venivano tolti 0,55 punti in caso di risposta errata. Anche qui molta teoria ma le domande in realtà erano molto più pratiche che teoriche. Risultato? Ho risposto solamente a sette domande di cui cinque corrette e due sbagliate perché non ho saputo gestire il tempo e mi sono perso su un esercizio relativo alla conversione in virgola mobile a singola precisione di un numero decimale. La perdita di tempo è stata causata dal fatto che non mi ero esercitato a sufficienza nel risolvere questo tipo di esercizi confidando sulla mia conosenza del metodo di calcolo. Ciò non mi ha permesso di rispondere a due domande di cui conoscevo la risposta. Dieci giorni dopo c'era la verifica orale che era stata resa obbligatoria per tutti dai docenti al fine di effettuare un controllo sul buon svolgimento della prova. Partivo da 18,15. La verifica durò circa un quarto d'ora. Il professore mi chiese di analizzare le risposte sbagliate per capire a cosa era dovuto l'errore e in più mi chiese di risolvere un altro esercizio. Ricordo che un esercizio riguardava il contenuto di un registro del RISC-V dopo aver eseguito tre operazioni sssembly, uno riguardava i segnali di controllo della CPU in seguito a una certa operazione, e in un altro dovevo spiegare la rappresentazione di una certa operazione assembly (una ADD o una ADDI, non ricordo bene) all'interno della CPU. Conoscevo bene gli argomenti e alla fine della prova il docente mi disse in modo esplicito che era rimasto molto soddisfatto della mia spiegazione e mi propose 19. Lo accettai perché non posso permettermi di rifiutare voti soprattutto in questa prima fase dove devo ottenere almeno 45 CFU nei primi tre anni accademici. Cosa ho imparato da questo esame? Che la gestione del tempo è fondamentale e che in linea di massima non devo soffermarmi troppo su una domanda. Se vedo che non so rispondere è meglio dedicarsi ad altri esercizi. E così feci il giorno dopo nell'esame di Programmazione 1. Novanta minuti di tempo, otto quesiti di cui tre pratici con produzione di codice C/C++ e cinque considerati teorici. Ognuna delle due sezioni assegnava al massimo sedici punti ma si dovevano ottenere almeno sei punti in ognuna delle due sezioni. Questo per evitare che si potesse ottenere la sufficienza facendo meno di sei punti in una delle due sezioni. Esame impegnativo, meno di un terzo dei partecipanti lo ha superato e alcuni lo avevano provato invano anche nella sessione invernale seppur la struttura fosse diversa. Ho cercato di rispondere a tutti i quesiti partendo da quelli di teoria che apparivano più semplici al fine di accumulare il minimo di sei punti. Poi sono passato alla parte pratica per cercare di ottenere più punti possibili. Tre esercizi piuttosto interessanti basati su una struttura di lista doppiamente concatenata, la più complessa a mio modo di vedere tra quelle che si imparano nel primo corso di programmazione. Poi ho cercato di rispondere alle domande di teoria che rimanevano. Il 22 conseguito rispecchia anche in questo caso il mancato intreccio tra teoria e pratica. Negli esercizi di scrittura del codice mi sono reso conto di aver fatto degli errori assurdi dovuti al poco esercizio ma la conoscenza della teoria mi ha permesso di immaginare bene la struttura dati e di scrivere le funzioni senza averle memorizzate, cosa che non sarei stato comunque in grado di fare e che tra l'altro non serve assolutamente a nulla. Risultati mediocri dai quali tuttavia risalta una nota positiva. A parte l'esperienza avuta con Geometria e algebra lineare, gli altri esami li ho superati al primo tentativo e questo per me è un ottimo risultato.