Il Realismo nella Finzione

Il piacere di tradurre

Mi sembra giusto iniziare con una doverosa premessa. Non ho frequentato il liceo linguistico e non ho studiato materie umanistiche. Sono un ragioniere, un contabile, mentalmente e lavorativamente, che nell'ultimo anno si è appassionato in modo notevole anche alle potenzialità dell'informatica dal punto di vista della programmazione. Non sono un grande conoscitore della lingua inglese, i miei studi scolastici si limitano a quelli di vent'anni fa, ma ho dovuto sempre confrontarmi con essa. Per un appassionato di retrogame come me è normale, i vecchi videogiochi erano per la maggior parte distribuiti in lingua originale (l'inglese per l'appunto) e solo in alcuni casi venivano tradotti in italiano, vuoi perché non esistevano molti distributori nazionali, vuoi perché si tratta di un'operazione costosa che non sempre trova un riscontro economico adeguato. In questi ultimi anni la situazione è notevolmente cambiata ma i prodotti del passato non hanno avuto la stessa sorte. Per questo una decina di anni fa sono nati dei piccoli gruppi di traduttori amatoriali, alcuni ancora attivi, che decisero di colmare questa lacuna. Si tratta di lavori casalinghi, senza scopo di lucro, effettuati però da gente che sa il fatto suo, appassionati che ne sanno cogliere l'importanza e che affrontano questo lavoro per permettere anche a chi non conosce la lingua di Albione di gustarsi dei giochi che altrimenti risulterebbero complicati da comprendere.

Per me è la prima volta e partendo da quanto detto nelle prime righe non è sicuramente un compito agevole. In realtà già ai tempi della scuola avevo provato a fare qualcosa di simile, mi ricordo, e forse da qualche parte li conservo ancora, i fogli scritti a mano con i dialoghi di Ultima VI, con tutti quei termini scritti in inglese arcaico quasi germanico, una di quelle piccole grandi sfide da adolescenti che appaiono come delle perdite di tempo. Ed invece, a distanza di molti anni, mi ritrovo qui a scrivere questa riflessione, frutto di alcune considerazioni a cui sono giunto dopo un mese in cui ho dedicato i miei fine settimana alla traduzione, ancora molto distante dalla sua ultimazione, del buon vecchio Heroes of Might and Magic III di cui sto tenendo un diario. La differenza principale rispetto ad Ultima VI è che in questo caso non sto effettuando una traduzione parallela ma un lavoro in-game come i gruppi di cui vi ho parlato prima. Ed è meraviglioso veder tramutare i testi delle schermate che lentamente cambiano volto e diventano comprensibili senza aver bisogno di un dizionario sulla scrivania. Nel mio diario spiego tutte le fasi tecniche di questa operazione mentre qui vorrei soffermarmi ad analizzare alcuni punti di natura generale.

Il primo pensiero è legato alla necessità o meno di tradurre. Personalmente ritengo che un'opera, letteraria, cinematografica, musicale, ludica, dovrebbe essere sempre letta, vista, ascoltata, giocata, nella sua lingua originale. Purtroppo però per capire bisogna conoscere e molti di noi non hanno studiato le lingue e le culture straniere, di conseguenza risulta necessario che qualcuno ci spieghi in italiano quanto stiamo leggendo, vedendo, ascoltando. E in quest'ultima frase ho racchiuso quella che secondo me è la filosofia del tradurre. La cosa più banale che ci capita quando troviamo una parola straniera che non conosciamo è chiederci qual è il suo significato e la logica conseguenza di ciò è di prendere un dizionario per cercarlo. Soluzione semplice ma quanto mai riduttiva che troppe volte porta ad una traduzione letterale abominevole. Una delle difficoltà più grandi che ho incontrato sinora è riuscire a scrivere in lingua italiana quanto scritto in inglese esprimendo esattamente quanto c'è nell'originale senza deturparne il significato. Ammetto che la mia preparazione parziale mi rende molto difficoltoso il tutto ma la buona volontà e la pazienza non mancano. Il fulcro del lavoro è la contestualizzazione. Non si può pensare di tradurre quello che si vede scritto senza sapere dove è collocato il testo. Una parola o un'intera frase può assumere significati molto differenti a seconda del contesto in cui si trova. E per contesto intendo ambientazione, periodo storico, interlocutori, situazione. Se ci pensiamo succede anche in italiano quindi la prima cosa da fare è comprendere chi siamo, il luogo in cui ci troviamo e in che epoca siamo per riuscire a cogliere tutte le sfumature di quanto stiamo traducendo. E' estremamente diverso calarsi in una realtà fantascientifica piuttosto che in una medievale o in una fantasy. Ed è ancora più complesso se si mescolano generi così diversi tra di loro. Per questo prima ho parlato di cultura e ho affermato che per capire bisogna conoscere. Se non abbiamo padronanza della tradizione fantasy anglosassone ci risulterà difficile capire come e se tradurre i nomi di alcune creature o di alcuni oggetti. Se non entriamo nel profondo della tecnologia che anima la fantascienza ci risulterà impossibile capire che cos'è, ad esempio, un holodisk. Se non conosciamo il contesto anche una parola come key può risultare fuorviante. Se fossimo in un gioco di fantascienza potrebbe essere una password alfanumerica per sbloccare un sistema di sicurezza (una chiave appunto ma dal significato più preciso), ma nel caso di Heroes III cosa potrebbe voler dire Keymaster's tent? Solo giocando possiamo capire che si tratta di una tenda che dobbiamo visitare per poter successivamente attraversare un posto di guardia. Eh già, perché in quella tenda c'è un custode di chiavi che, virtualmente, informerà la guardia di lasciarci passare fornendogli un parola d'ordine (la nostra key). Diciamo che quanto ho fatto sinora mi ha portato a spezzare il lavoro in più fasi: prima leggo la parola e/o la frase e la traduco scombinandone la sintassi pur mantenendone il significato, poi la ricerco nel gioco per accertarmi che il senso sia corretto. Se però non è possibile farlo subito rimando il tutto a quando la incontrerò durante una sessione di gioco, momento in cui capirò se la traduzione è accettabile o se è il caso di modificarla. Mi sono scervellato parecchio, ad esempio, nel tradurre la frase:

"As you reign in your horse, a guard steps up to you, "Welcome. I have received word of your arrival. Do you wish to pass at this time?""
Quando l'ho letta la prima volta e l'ho tradotta letteralmente non riuscivo assolutamente a capire cosa significasse. Allora mi sono immedesimato nella situazione individuando chi fossero gli interlocutori. Il gioco si rivolge a me quindi io sono il protagonista, in questo caso interpreto uno degli eroi e una guardia mi si avvicina dandomi il benvenuto e dicendomi che gli era giunta notizia del mio arrivo. Poi mi chiede se voglio passare. Ma passare da dove? Ecco il concetto di contestualizzazione. La guardia in questione è quella che riceve l'ordine dal Keymaster di cui vi ho parlato prima, quindi lei sa che io arriverò da lei prima o poi. Ma come fa a sapere che sono proprio io? Perché io "reign in my horse", regno sul mio cavallo. Una traduzione del genere fa accapponare la pelle, bisogna ricostruirla senza perderne il senso. Un re è un dominatore, ma non deve esserlo per forza di un territorio, può esserlo in senso figurato anche di un'altra cosa. Ciò vuol dire che io sono un elemento importante in sella ad un cavallo e la guardia mi ha riconosciuto per questo motivo. Quindi alla fine la mia traduzione è stata
"Vedendo la tua figura maestosa a cavallo, una guardia ti viene incontro. "Benvenuto. Ho ricevuto notizie del tuo arrivo. Desiderate passare adesso?""
Questo e altri aspetti rendono difficoltosa una traduzione e molte volte è necessario soffermarsi parecchio per immaginare la scena e gli attori, oppure per vedere fisicamente l'oggetto di cui si sta parlando. Volete divertirvi traducendo "Still Eye of the Dragon"? Sappiate che è un anello e che la sua gemma ha le fattezze di un occhio di dragone.

Quanto detto finora è soltanto un'osservazione che mi sono sentito in dovere di mettere per iscritto dato che l'obiettivo che mi sono prefissato è probabilmente ancora più impegnativo di quanto non sia stata la costruzione di questo sito. Spero di riuscire a portare a termine questa mia ennesima impresa solitaria divertendomi e assaporando il piacere e gli scogli che affrontano i traduttori professionisti.

A due anni di distanza mi ritrovo a riprendere in mano la riflessione sul gusto di tradurre un videogioco. In questo lasso di tempo ho realizzato molto meno di quanto mi ero prefissato. Ho sospeso le traduzioni di Heroes of Might and Magic III e di Ultima VI, ho portato a termine solo la traduzione del mod Full Combat Rebalance per The Witcher e l'adattamento della UAP 091225 per Arcanum: Of Steamworks and Magick Obscura e sto portando avanti l'adattamento della killap patch 1.02.31 per Fallout 2 assieme a Ragfox. Ho trascorso più tempo a scrivere il programmino per confrontare i file che a tradurre.

Ma allora perché torno a parlare di quest'argomento? Perché proprio ora? Perché è da un mese che sto tentando di scrivere seriamente la mia traduzione di System Shock 2. Di traduzione ne esiste già una e a quanto ho letto c'è un altro progetto che sembra stia andando avanti ma mi piaceva l'idea di farne una per conto mio visto che è uno dei giochi che amo di più per la sua atmosfera, la sua ambientazione, la sua difficoltà e, non neghiamolo, per la magnifica voce di SHODAN. Certo è che anche questo gioiello ha le sue particolarità insite proprio nell'argomento trattato, il cyberpunk, e da qui nascono tutte le difficoltà linguistiche connesse. Ma il punto è anche un altro. Come dicevo due anni fa non sono un esperto conoscitore della lingua inglese ma sono riuscito a focalizzare un punto che ritengo molto importante per riuscire a realizzare questo progetto. Una lingua non è nient'altro che un codice utilizzato per comunicare e come tale ha le sue regole che una volta apprese permettono di comprenderlo e utilizzarlo. Partendo da questo principio ho riscoperto un'aspetto fondamentale che avevo perso nel corso degli anni. L'inglese ha una costruzione della frase che è piuttosto rigida, non possiede la flessibilità che riscontriamo nell'italiano. Questo permette di effettuare l'analisi logica della proposizione in modo piuttosto semplice rendendo quasi impossibile sbagliare l'assegnazione di soggetto, predicato verbale e complementi vari. Il passo successivo dell'analisi grammaticale comporta anch'esso un lavoro piuttosto metodico dato che anche in questo caso le costruzioni non sono così libere. Le frasi nominali e le sue componenti si identificano con facilità, gli avverbi pure e i verbi richiedono la tipica attenzione che tutti conosciamo nel riconoscimento del tempo utilizzato e della tipologia (transitivo, intransitivo, copulativo, ausiliario, modale). Quindi spezzettando la frase un po' come si farebbe con un'equazione matematica si riesce a cogliere tutto il senso che vuole trasmettere nella lingua di origine. A questo punto dopo una prima traduzione letterale si può procedere ad una rivisitazione del tutto per rendere fluido e chiaro il concetto in italiano utilizzando il nostro modo di scrivere e parlare che risulta più appropriato.

Questa linea guida dovrebbe permettermi di creare una traduzione molto metodica ma al tempo stesso ragionata che mi dia la possibilità di comprendere al meglio il testo analizzato evitando errori che spesso ho commesso. Il mio limite che riconosco è la mancanza di un'approfondita conoscenza dei termini e una padronanza ancora non perfezionata delle regole ma confido nella mia costanza per porre rimedio innanzitutto al secondo aspetto senza il quale è assurdo pensare mettersi a fare una cosa del genere.